Il gatto e l’angelo… (fiaba)

“Pace a te”, disse affettuosamente l’Angelo sedendosi su un grosso ramo vicino al Gatto e spazzando la neve.

“Ciao”,

il Gatto aprì un occhio verde, guardò pigramente l’Angelo e lo richiuse.

L’Angelo nascose sotto le ali i piedi nudi e guardò di sotto.

Sotto c’era un cortile pieno di neve, delle risate dei ragazzi, e delle palle di neve che volavano.

“Sei salito in alto…”, disse l’Angelo.

“Sii. Non ce la fanno a colpirmi con una pallina di neve.”

L’Angelo annuì e raccolse le ali.

“Sei venuto a prendere la mia vecchietta?”, domandò il Gatto sempre pigramente, senza voltarsi.

L’Angelo sentì subito l’addensamento dell’ansia e del dolore.

“No, non sono venuto per nessuno.”

“Ah!”

la nuvoletta di dolore si diradò.

“Lei parla tutti i giorni, dice che verrà un angelo per portarla via”, volle spiegare il Gatto.

“Ma forse arriverà un altro…”.

Stettero in silenzio.

Ma il Gatto era preoccupato dalla presenza dell’Angelo, e, fingendo l’indifferenza, chiese:

“E tu perché sei qui?”

“Per riposare un po’. Ho salvato un ragazzino, nella vostra città.

Ora vado a casa.”

“Ma tu… anche le malattie le curi?”

“Dipende dalla malattia. Ma potrei fare molto. Sono il Custode.”

“E allora cosa stiamo a fare qui!” – urlò il Gatto.
“Andiamo!”
Si buttò giù, e l’Angelo atterrò in silenzio, accanto.

La vecchietta era così piccola e magra che L’Angelo faticò a individuarla in mezzo ai cuscini.

Respirava male.

L ‘Angelo si chinò su di lei, abbassò al suo petto le ali banche e iniziò a dirle qualcosa.

Nel frattempo il Gatto mise sul fuoco la teiera per preparare una bevanda di erbe per la sua umana.

Quando l’Angelo si alzò, il respiro della vecchietta era regolare, le guance diventarono rosa.

“Deve dormire”, disse al Gatto.

“E’ debole.”

Il Gatto, voltandogli e spalle, si asciugò rapidamente gli occhi.

E bevvero il loro te… mentre la vecchietta dormiva.

L’Angelo sorrideva, guardando il Gatto che si versava continuamente la panna nel tè.

“Forse, rimarrò per un po’ da voi; finché Mikhailovna non si riprenderà.”

“Come fai a sapere il suo nome?”

“Sono un Angelo.

So anche che tu ti chiami Charlie.”

“Così abbiamo fatto conoscenza.”

“E tu, come ti chiami?”

“Semplicemente l’Angelo.”

Il Gatto gli avvicino la panna.

“MI hai chiesto perché ero lassù.

Significa che stavo aspettando te.”

E aggiunse, ascoltando il vento al di là del vetro della finestra:

“Ti farò i calzini di lana. Così non andrai sulla neve a piedi nudi…”

(Liudmila Sosnina)

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